Fellini e i Castelli Romani: Intervista (1987)

«Scenario di molte pellicole del regista, i Castelli Romani erano anche tra i luoghi più amati e frequentati da Fellini: qui la bella villa genzanese di Anita Ekberg è il set della sequenza più struggente del film»

Testamento spirituale e insieme riflessione sul mondo dello spettacolo e sul mestiere di regista, Intervista ci racconta il Fellini più intimo e segreto. Il pretesto di questo insolito e personalissimo viaggio autobiografico è offerto da un’intervista immaginaria rilasciata ad una tv giapponese, che offre al regista l’occasione di rievocare alcune tappe della sua vita di uomo e cineasta: da quando, provinciale timido e impacciato, arrivò a Cinecittà (Fellini ventenne è interpretato da Sergio Rubini alle prime armi), al successo de La dolce vita, ai problemi quotidiani del set cinematografico (in Intervista Fellini immagina di realizzare un film ispirato al romanzo America di Kafka, mostrandoci il dietro le quinte del suo lavoro e quello dei suoi più stretti collaboratori, dal direttore della fotografia Tonino Delli Colli, all’aiuto regista Maurizio Mein, allo scenografo e costumista Danilo Donati, che interpretano se stessi), in un gioco continuo di rimandi tra realtà e finzione, presente e passato, sincerità e menzogna.
Il film ci parla poi, ancora una volta, dei forti legami del regista con i Castelli Romani. Scenario, come abbiamo già raccontato nei numeri precedenti del Vivavoce, di molte pellicole del maestro, da Il bidone a Le notti di Cabiria, a Toby Dammit (particolare tanto più interessante dal momento che, come si sa, Fellini era decisamente restio a girare in esterni, preferendo di gran lunga ricostruire tutto in studio nella sua amata Cinecittà), i Castelli Romani erano uno dei luoghi più amati dal regista. Quando il maestro girava a Cinecittà, rappresentavano un vicino e piacevolissimo rifugio dallo stress del set. In particolare Fellini e la moglie erano di casa all’Osteria del Fico Vecchio, storico locale di Grottaferrata. Qui, ricorda il proprietario e amico Claudio Ciocca, Federico e Giulietta, quando erano a Cinecittà, cenavano quasi ogni sera, ma anche nei periodi di riposo venivano almeno un paio di volte a settimana (all’amico ristoratore Fellini ha riservato piccole parti in tanti dei suoi film, da Casanova a Prova d’orchestra, da La città delle donne a Ginger e Fred a La voce della luna, e, anche in Intervista, Ciocca ha un piccolo ruolo). A Grottaferrata viveva anche Maurizio Mein, tra i più cari e fidati collaboratori del maestro e aiuto regista di tanti film, compreso Intervista dove interpreta se stesso. E poi c’era Anita Ekberg, indimenticabile diva de La dolce vita, che da anni abita in una tranquilla villa a Genzano, «dove – ricorda Fellini – vive come una divinità campestre, serena, tranquilla, imperturbabile, senza che il corso degli anni la turbi minimamente». Proprio “Anitona” e la sua bella villa a Monte Giove sono protagoniste di una delle sequenze più struggenti del film: in compagnia di Marcello Mastroianni, strappato da un fantomatico set di uno spot pubblicitario con ancora indosso gli abiti di scena di un improbabile Mandrake, Fellini decide di recarsi con la sua troupe dalla Ekberg per convincerla a fare un provino per il film in preparazione. Durante il tragitto in macchina, la Mercedes del regista, seguita come un’ombra dalla Toyota della tv giapponese, passa in via del Pometo, sotto le maestose arcate del ponte di Ariccia, mentre la cinepresa fa una panoramica sulla cupola della chiesa dell’Assunta del Bernini. Arrivati a destinazione, dopo qualche peripezia (le auto si perdono nelle stradine della campagna castellana e, solo grazie all’aiuto di un improbabile prete in vespa, raggiungono la villa dell’attrice), Fellini si annuncia al citofono. Anita prima di aprire indugia un po’, ma poi è felice di riabbracciare i vecchi amici. Il vero motivo della visita è subito dimenticato e si improvvisa una festa a base di castagne arrosto e buon vino. Avvalendosi della sua bacchetta magica, Marcello-Mandrake fa apparire nel salone della villa un lenzuolo bianco dove, sotto gli occhi commossi ed emozionati dei protagonisti e di tutti i presenti, si materializzano le immagini più celebri de La dolce vita. Si fa notte ed è tempo di andare. La preparazione del film America riprende e ormai siamo alla fine, quando una pioggia torrenziale costringe la troupe di Fellini a riparare sotto un tendone. Improvvisamente da dietro le colline vediamo sbucare indiani a cavallo che, brandendo a mo’ di lance tristi antenne televisive, si apprestano a caricare. La troupe del regista si prepara a difendersi. È l’immaginifico e profetico finale del film.

scritto da Saverio Salamino

L’importanza delle lingue nel mondo

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Secondo recenti studi ci sono fra le 6000 e le 7000 lingue parlate nel mondo da 6 milioni di persone divise in 189 stati indipendenti.

La maggior parte delle lingue mondiali vengono parlate in Asia, India Africa e Sud America.

Nessuna lingua è di per sé più difficile di altre: tutti i bambini, infatti, apprendono la loro lingua madre nello stesso modo naturale e con uguale facilità.

Le persone di diverse lingue sono in  costante contatto l’una con l’altra e quindi si condizionano reciprocamente in molti modi: un esempio eloquente è proprio  l’Inglese che ha preso in “prestito” molte parole ed espressioni da altre lingue in passato, mentre le lingue europee in questo momento stanno prendendo  in  “prestito” molte parole dall’Inglese.

Il lavoro e la professionalità del traduttore contribuisce a mantenere vivo lo scambio culturale e finanziario tra i diversi popoli che parlano diverse lingue, consentendo una corretta comprensione linguistica tra le persone nel rispetto della totale uniformità terminologica.

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Le lingue più parlate

ll Cinese risulta la lingua più parlata al mondo da ben 1 miliardo e 213 milioni di persone.

A seguire:

  • 329 milioni di persone parlano lo Spagnolo
  • 328 milioni di persone parlano l’ Inglese
  • 221 milioni di persone parlano l’ Arabo
  • 182 milioni di persone parlano l’ Hindi
  • 181 milioni di persone parlano il Bengalese
  • 178 milioni di persone parlano il Portoghese
  • 144 milioni di persone parlano il Russo
  • 122 milioni di persone parlano il Giapponese
  • 90 milioni di persone parlano il Tedesco
  • 62 milioni di persone parlano il l’Italiano e in questa classifica l’Italia si trova al diciannovesimo posto.

Alcune curiosità
Il Basco risulta essere il linguaggio più difficile e ostico, non si relaziona con altre lingue ed è parlato al nord della Spagna ed in alcune piccole zone della Francia confinanti con la spagna.

Il Latino, molto diffuso in passato, è rimasto lingua ufficiale solamente nella Città del Vaticano.

Nel Nord Africa è parlata la lingua Berbera,  questa forma di comunicazione non ha una forma scritta.

L’alfabeto più grande del mondo, con ben 74 lettere, è il Cambogiano.

L’alfabeto più corto del mondo con sole 11 lettere appartiene alle  Isole Salomone.

In alcune parti della Guinea Francese si parla  il linguaggio Taki,  questo linguaggio è formato da sole 340 parole.

In alcune zone dell’India, si parla la lingua Malayalam questa è l’unica lingua parlata  il cui nome è una parola palindroma.

Una lingua Vietnamita  il Sedang contiene il più alto numero di vocali ben  55 suoni distinguibili.

La maggior parte delle lingue attualmente presenti,  vengono parlate in Asia, India, Africa e Sud America.

Molte persone pensano che la maggior parte della popolazione mondiale parli una sola lingua, al contrario, la metà della popolazione mondiale parla due o più lingue.

Lingue a pericolo di estinzione
L’Unesco lancia un allarme grave: sono a rischio d’estinzione 2500 delle 6900 lingue parlate nel mondo.

Risulta che siano 199 gli idiomi parlati da meno di una decina di persone:

Il Wichita sarebbe usato solamente da una decina di persone residenti in Oklahoma, mentre la lingua Karaim sarebbe noto solamente a sei persone che si trovano in Ucraina.

Nella lista di questo triste primato troviamo l’India con 196 idioma a rischio di estinzione, a seguire gli Stati Uniti con 192 e l’Indonesia con 147.

Nella classifica stilata dall’Unesco, si cita che 538 lingue sono gravemente in pericolo, quelle seriamente in pericolo sono 502, quelle sicuramente in pericolo sono 632 e quelle a rischio sono 607.

In Papua Nuova Guinea, sarebbero a rischio 88  delle 800 lingue parlate.

Tramite le valutazioni e i dati rilevati negli ultimi decenni, è stato calcolato che entro la fine del ventunesimo secolo, il 90 per cento delle lingue che attualmente si parlano potrebbero estinguersi.

Sempre una nota dell’Unesco spiega che tra il 1974  e 2002,  a seguito della scomparsa di alcune persone, sono morti anche linguaggi come il Manx, linguaggio parlato nell´isola di Man, l´Aasax della Tanzania,  l´Ubykh della Turchia,  l´Eyak dell´Alaska

Ogni volta che muore un idioma cadono in disuso anche le traduzioni, i saperi e le opere artistiche di un determinato popolo. I linguisti, negli ultimi anni, si stanno adoperando molto  per salvaguardare  gli idiomi a rischio di estinzione, consapevoli del disastro storico artistico che ne consegue. Quante persone sono rimaste le uniche testimoni di una maniera di comunicare che non ha più interlocutori!

Per citare solo un grande ricercatore nel settore del linguaggio, Anthony Aristar: “Una lingua non è fatta solo di parole e grammatica, è una rete di storie che mettono in contatto tutte le persone che usano ed hanno usato in passato quella lingua, ha in sé tutte le conoscenze che una comunità linguistic ha lasciato ai suoi discendenti.  La morte di una lingua è come la morte di una specie, con essa si perde un anello della catena e tutto ciò che quella parte significava per il tutto”

L’università dello Utah è molto attiva nella lotta contro i pericoli di una globalizzazione linguistica. Anche la National Science Foundation si è attivata, creando un sito web che descrive le lingue a rischio: qui raccoglierà dati, lessico, registrazioni e catalogazioni. Il ricercatore Aristar puntualizza: “Mentre una lingua è ancora in vita, resta sempre un barlume di speranza di potere tramandare qualcosa ai posteri. Se non faremo questo lavoro, ci sarà un momento in cui le uniche culture rimaste saranno quelle espresse nelle “grandi” lingue: inglese, spagnolo, cinese ed arabo”.

Questo problema è noto da tempo: negli ultimi 500 anni sono scomparse la metà degli idiomi del mondo. Tipico dei nostri giorni è la velocità con cui tali scomparse avvengono: gli studiosi di linguistica prevedono che circa il 90% delle 7000 lingue del mondo non ci sarà più.

In ciò che i linguisti definiscono giustamente “un’immane tragedia”  resta, tuttavia, una speranza; come asserisce Campbell: “Se preserveremo anche poche informazioni su un idioma estinto, avremo le basi per ricostruire relazioni e connessioni andando indietro nel tempo di migliaia di anni, grazie anche alla comparazione ed unione di dati di carattere archeologico e storico. Il database elettronico sarà lo snodo fondamentale per condividere le informazioni, il primo step per mettere al sicuro quel che ci resta delle lingue a rischio”.

Fra le varie associazioni, a scopo benefico e non, che si battono da anni per la preservazione delle lingue in pericolo di estinzione, anche e soprattutto come patrimonio multilingue prezioso per l’umanità intera,   da citare è l’Unesco. Ha pubblicato anche un atlante delle lingue in pericolo di estinzione.

Lo studio delle lingue come forza combattiva contro i sintomi e la malattia dell’Alzheimer  ( indagine scientifica)

La neurologia della memoria continua a sollevare domande sicuramente interessanti per l’apprendimento e lo studio delle lingue.

Una buona notizia per gli appassionati delle lingue: uno Studio pubblicato recentemente da D. Iacono et al.  ( “The Nun Study; Clinically silent AD, neuronal hypertrophy and linguistic skills in early life”, Rivista “Neurology, settembre 2009, tradotto )“Uno studio sulle monache: malattie dell’Alzheimer clinicamente silenziose, l’ipertrofia neuronale e le competenze linguistiche nell’infanzia “ afferma che lo studio delle lingue può proteggerci dai sintomi della malattia dell’Alzheimer!

I ricercatori hanno analizzato, in seno ad un progetto nel lungo termine, 93 suore cattoliche, analizzate da quando le suore entrarono in convento a circa 20’anni.  A tutte le suore fu chiesto di scrivere una breve autobiografia prima di prendere i voti. Nei 50′anni successivi sono stati loro somministrati sette test di tipo cognitivo e le loro autobiografie sono state analizzate per numero di idee espresse ogni 10 parole e complessità grammaticale delle frasi.

Sono state, inoltre, realizzate delle autopsie a livello cerebrale sulle suore alla loro scomparsa.  Fra le 14 suore scomparse, a 5 fu diagnosticato l’Alzheimer nell’autopsia.
Tutte cinque avevano evidenziato una bassa densità di idee in giovane età, ma ciò non poteva dirsi delle 9 a cui non era stato diagnosticato l’Alzheimer.

Studi come questo non provano nulla di scientificamente certo, ma forniscono solo una preziosa convalida statistica ed hanno come logica conseguenza la raccomandazione di apprendere una o più lingue straniere come forma di esercizio mentale per combattere i rischi di contrarre la malattia dell’Alzheimer.

Il bilinguismo è stato associato anche ad un rallentamento di afasie e menomazioni linguistiche.

Ad esempio, nel 2007, ricercatori del Centro di Ricerca Baycrest  per l’invecchiamento delle attività cerebrali pubblicarono uno studio in cui si asserisce che pazienti anziani che avevano trascorso le loro vite parlando più di una lingua mostravano una menomazione cognitiva circa quattro anni più tardi rispetto ai pazienti che avevano parlato per tutta la vita una sola lingua.
Tale differenza, secondo gli stessi relatori, è impareggiabile da qualsiasi intervento farmaceutico.

Come la lingua possa veramente ridurre i rischi della menomazione cognitiva è veramente poco chiaro, ma la complessità del linguaggio può fornire una sorta di esercizio a varie regioni cerebrali simili all’esercizio fisico raccomandato dai medici per la proiezione di una vita in salute anche in età avanzata.

In conclusione, l’istruzione di noi stessi e delle generazioni future, dovrà continuare ad essere un’istruzione plurilingue e multiculturale, al servizio dell’accrescimento alla consapevolezza linguistica ed all’accettazione dell’altro e del diverso!